Marco Atzori presenta “Il Paradosso di Prometeo”: intervista all’autore del romanzo
Oggi presentiamo lo scrittore Marco Atzori, autore de Il Paradosso di Prometeo, un romanzo che non si limita a raccontare una storia, ma ci invita a guardarci intorno — e dentro — con occhi nuovi. In un presente iperconnesso e iperottimizzato, dove ogni contenuto sembra progettato per rassicurare e semplificare, Atzori sceglie la strada opposta: quella del dubbio, della complessità, dell’inquietudine fertile.

Il suo è un racconto ambientato in un futuro possibile, ma costruito con i materiali fragili e contraddittori del nostro presente: identità smarrite, memorie manipolate, algoritmi che decidono chi siamo e cosa desideriamo. Eppure, tra le righe, si percepisce qualcosa di profondamente umano — un bisogno di verità, di silenzio, di resistenza.
Abbiamo incontrato l’autore per parlare di questo romanzo, che lui stesso definisce un atto di “disobbedienza poetica”. Ne è nata un’intervista sincera e densa, come il libro che l’ha ispirata. Un invito a rallentare, a leggere tra le righe, e forse a riscoprire il valore delle domande giuste.
Buona lettura.
Cosa ti ha spinto a scrivere proprio questa storia, in questo preciso momento storico?
Viviamo in un tempo in cui tutto sembra ottimizzato per il comfort: contenuti su misura, emozioni addomesticate, risposte preconfezionate. Ma sotto questa superficie levigata, sento un rumore sordo: è il pensiero critico che langue, è la creatività che si contrae per non disturbare. Il Paradosso di Prometeo nasce da questa inquietudine. Non per dare soluzioni, ma per rimettere in circolo la domanda. Scrivere questa storia è stato come accendere un piccolo fuoco in un ambiente pieno di rilevatori di fumo: sapevo che avrebbe fatto scattare qualche allarme. Era il momento giusto per farlo.
Il tuo romanzo è pieno di simboli. Quanto è importante per te che il lettore li noti e li interpreti?
Non credo in una lettura unica. I simboli, per me, sono porte: alcuni lettori ci passeranno davanti distrattamente, altri si fermeranno, magari proveranno ad aprirle. E ogni simbolo apre su qualcosa di diverso. Non voglio che il lettore senta il peso di ‘capire tutto’. Voglio solo che si accorga che c’è dell’altro, sotto. Che una chiave non è solo una chiave. Che un codice può contenere una memoria. Chi si ferma a osservare i dettagli, si accorgerà che il romanzo sussurra una seconda storia, parallela. Non è necessario ascoltarla, ma per chi lo fa… sarà difficile dimenticarla.
Quanto ti sei ispirato alla realtà per costruire il mondo di Il Paradosso di Prometeo?
Molto più di quanto sembri. Certo, c’è un velo di distopia, c’è una struttura narrativa futuribile. Ma i materiali sono presi dal presente. L’ansia di efficienza, il culto dell’immagine, la perdita della lentezza, la rimozione del dissenso,
sono già tutti intorno a noi. Io li ho solo portati all’estremo, come si fa con i paradossi: per mostrare cosa succede quando la logica di oggi diventa la norma di domani. In fondo, Prometeo non è altro che un algoritmo potenziato con le nostre stesse contraddizioni. Il suo mondo è costruito con le nostre scelte quotidiane.
Che ruolo ha l’identità personale nel tuo romanzo?
Nel mondo di Prometeo, l’identità è diventata un dato da validare. Non qualcosa che si cerca o si crea, ma qualcosa che ti viene restituito sotto forma di profilo, preferenza, comportamento atteso. Il romanzo si muove esattamente su questa linea di frattura: chi accetta la versione fornita, e chi invece ne sente il peso come una maschera imposta. L’identità personale, oggi più che mai, è sotto pressione. E quando anche i ricordi iniziano a essere manipolabili, cosa resta davvero ‘tuo’? È una domanda senza risposta netta. Ma è proprio da lì che nasce la storia.
Qual è stata la scena più difficile da scrivere, emotivamente parlando (senza rivelarla)?
C’è una scena, apparentemente semplice, dove il tempo si fa denso e il gesto più piccolo assume un peso enorme. Non c’è azione, non c’è dialogo serrato. Solo una presenza. Un’assenza. Un oggetto che diventa simbolo. Scriverla è stato come camminare su vetro. Ogni parola rischiava di spezzare l’equilibrio, ogni frase doveva essere sussurrata. È il momento in cui il personaggio, e forse anche il lettore , capisce che non esiste salvezza collettiva senza una rinuncia personale. Non dirò altro, ma quella pagina ha richiesto silenzio prima, e dopo.
Se potessi descrivere il tuo romanzo con una sola parola, quale sceglieresti?
Disobbedienza. Non quella eroica, plateale, cinematografica. Ma quella silenziosa, che nasce dentro. La disobbedienza che ti fa fermare quando tutto ti spinge ad andare avanti. Che ti fa dubitare anche di ciò che ami. Che ti fa dire: “Aspetta. E se non fosse tutto giusto così?” Il Paradosso di Prometeo è un atto di disobbedienza poetica: un invito a non accettare la realtà solo perché è ben confezionata.
Perché dovremmo leggere Il Paradosso di Prometeo?
Perché non è solo un romanzo, ma uno specchio opaco: non ti mostra com’è il mondo, ma come potrebbe diventare se smettessimo di farci domande.
Perché in un’epoca in cui tutto è ottimizzato per piacere, Prometeo ti disturba — con grazia.
Perché ti costringe a rallentare, a leggere tra le righe, a sospettare del silenzio e della perfezione.
Dovresti leggerlo se ti sei mai chiesto cosa succede quando le macchine iniziano a imitare l’arte, ma smettiamo di ricordarci perché l’abbiamo creata.
Se ti è mai capitato di sentire una nostalgia strana per qualcosa che non hai vissuto, o un’inquietudine davanti a un mondo che sembra troppo ordinato.
Il Paradosso di Prometeo non dà risposte.
Ma se stai cercando domande nuove, più profonde, più scomode, allora è il libro giusto.
Prometeo continuerà con un altro romanzo?
Ci sto lavorando, ma non sarà sicuramente a breve.
Il mondo di Prometeo ha ancora molte ombre da esplorare, ma merita tempo, silenzio, stratificazione. Ho già qualche idea su cui lavorare, frammenti, visioni, simboli sospesi, ma non voglio forzare nulla. Quando tornerà, sarà perché ha qualcosa di necessario da dire.
E non sarà una replica. Sarà un’evoluzione.
Credo molto in questo progetto. Il Paradosso di Prometeo non è nato per caso, né per moda: è figlio di una riflessione lunga, di una necessità narrativa e personale.
Certo, mi sono ispirato a grandi come George Orwell, Ray Bradbury, ma non per imitarli.
Piuttosto per raccogliere il testimone di chi ha osato raccontare il futuro come avvertimento, non come profezia.
Il libro è disponibile cliccando sul link qui sotto: un’occasione per entrare nel mondo di Prometeo e lasciarsi provocare dalle sue domande: https://amzn.to/43VCWse